Da qualsiasi parte ci si arrivi, le Apuane si stagliano improvvise contro un paesaggio che non sembrava sospettarle. Né Alpi né Appennini, pur avendo delle prime la verticalità e dei secondi la ritrosia, a cui aggiungono una vegetazione influenzata dal vicino Tirreno. Quasi non sapevo della loro esistenza prima di conoscere Andrea, parecchi anni fa, ma da allora ci sono tornata più volte, continuando a meravigliarmi ad ogni nuova, piccola scoperta. I branchi di mufloni che attraversano la strada. Gli antichi villaggi in pietra sperduti nei castagneti. Il fatto che, in una giornata limpida, dalle loro cime si possano vedere sia il Monviso che la Corsica.

Andrea Ribolini è un Dottore Forestale e lavora per l’Orto Botanico Pellegrini-Ansaldi, che dai 900 m del Pian della Fioba si affaccia sia sulla costa di Massa che sulla vicina Garfagnana. Andrea è anche un appassionato di buona cucina e un grande fan del Toro.

In questi villaggi di cavatori e operai, la fede calcistica in quella che un tempo era la squadra del proletariato è più comune di quanto si possa pensare. La fede politica, invece, vede una storica simpatia per i movimenti di stampo anarchico. Apuani, popolo di ribelli, che se da una parte lotta contro l’ordine costituito, dall’altra vive da sempre un controverso rapporto di dipendenza dallo strapotere delle industrie del marmo.

Le attività estrattive iniziano già nel tempo dei Romani; per gran parte dei loro 2000 anni di storia, le cave hanno fornito un materiale preziosissimo solo grazie all’impiego di un imponente lavoro umano. Ogni singolo blocco veniva tagliato e sagomato manualmente, portato con trasporti rudimentali a valle e poi fino al mare, da dove raggiungeva palazzi e laboratori per trasformarsi nelle statue immortali di Michelangelo o nei colonnati del Bernini.

Incontriamo Andrea per farci raccontare qualcosa in più sul rapporto fra cave di marmo e Parco delle Apuane.

Ph: Andrea Ribolini

Le cave costituiscono ancora un fattore cruciale nel tessuto economico e sociale di questi territori. Il pensiero corre sempre alle opere d’arte ma…cosa è diverso oggi, nel business del marmo?

Negli ultimi decenni, con l’innovazione tecnologica e l’aumento della velocità di estrazione è cambiato tutto. Ora per far funzionare un’intera cava bastano pochi addetti di macchina, ma non per questo estrarre è più redditizio; il mercato è cambiato ed è stato scoperto il valore del materiale di scarto, che rende ormai quasi di più rispetto a quello di pregio.

Il marmo, infatti, è composto da percentuali variabili di carbonato di calcio, e quello di Carrara è molto puro, quasi al 100%: frantumato ha svariati utilizzi chimici, farmaceutici e alimentari. In pratica può diventare un colorante o finire nel nostro dentifricio.

Ad oggi delle 5 milioni di tonnellate estratte ogni anno più dell’80% è detrito da cui ricavare il carbonato di calcio, ma anche della percentuale rimanente di blocchi solo una piccola parte viene lavorata in loco. Il marmo è perlopiù esportato grezzo in Cina o nei paesi arabi, dato che si è perso l’interesse a valorizzare la materia prima in loco e altrove la manodopera costa meno.

A parte le ricadute economiche dirette, ci sono costi indiretti che non immaginiamo? Qual è per esempio l’impatto reale delle cave sugli ecosistemi?

Nel bacino di Carrara, appena oltre i confini del parco, ci sono circa cento cave attive. Ce ne sono altre settanta in enclavi all’interno del Parco, fatto che rende quest’area protetta un unicum a livello nazionale.


La prima conseguenza delle cave è l’interruzione degli ecosistemi.


La prima conseguenza è l’interruzione degli ecosistemi, ma gli impatti non sono limitati alla superficie della cava: il frastuono dell’estrazione disturba gli animali, la marmettola (polvere di marmo), che dovrebbe essere raccolta e smaltita, non viene invece trattata e quindi con la pioggia è trasportata nei corsi d’acqua, inquinandoli e depositandosi sul fondo come una colata di cemento li rende sterili, invivibili per piante, animali e microorganismi. Alla lunga può avere un effetto “colesterolo” sui corsi d’acqua sotterranei, fino ad ostruire le sorgenti. Inoltre comporta elevati costi di depurazione per ottenere acqua potabile, a carico dei cittadini.

A parte quello ecologico e umano, c’è poi ovviamente anche l’impatto paesaggistico ed economico. Se vado in montagna cerco pace e silenzio, quindi anche dal punto di vista turistico qua tutto diventa più difficile da gestire.

In effetti un’area naturale protetta attraversata dai bulldozer sembra un po’ un controsenso. Ma quanto potere può effettivamente esercitare il Parco, e quanto invece deve scendere a compromessi per proteggere questo territorio?

Il Parco delle Apuane è nato negli anni 80 su spinta popolare e di associazioni ambientaliste proprio per tutelare le montagne dall’incremento di attività estrattive: il compromesso era che sarebbero rimaste solo le cave già attive e autorizzate in quel momento, con chiusura e ripristino naturalistico di molti siti.

Purtroppo così non è stato… perchè il Parco non ha i superpoteri. È una realtà regionale, che deve sottostare agli strumenti di pianificazione approvati a livello politico, su tutti il Piano Regionale Cave e il Piano Paesaggistico, quindi nella pratica se volesse opporsi all’apertura di altre cave, le aziende e i Comuni farebbero ricorso e il Parco lo perderebbe.

Quello che il Parco può fare è imporre delle misure volte ad alleviare il più possibile gli impatti ambientali e paesaggistici e controllare che queste prescrizioni vengano o meno rispettate.

Ph: Andrea Ribolini

E tu ti consideri un attivista per il territorio? Come si divide l’opinione pubblica riguardo alla questione cave?

Diciamo che sono partito come attivista e ho poi avuto la fortuna, grazie anche al mio percorso di studi, di lavorare per contribuire direttamente alla tutela delle montagne, per quel che è possibile. Di sicuro si percepisce nella popolazione una lenta ma crescente consapevolezza dell’impatto delle cave, anche se la maggior parte delle persone rimangono ancora indifferenti.


Le cave sono tuttora in aumento: solo a Massa, nei prossimi anni, passeremo da 18 a 25 cave attive.


Ultimamente si parla tanto di sostenibilità, e il marmo allo stato attuale semplicemente non è un business sostenibile. Ma nonostante la chiara necessità di ridurre il numero di siti estrattivi e riconvertire dove possibile, le cave sono tuttora in aumento!

Solo a Massa, nei prossimi anni, passeremo da 18 a 25 cave attive. Insieme a chi ci lavora, e a una buona fetta di popolazione ancora attaccata all’antico prestigio del marmo, sono spesso le istituzioni a non voler vedere i lati negativi delle cave.

Sotto alle Apuane ci sei nato ma da pochi anni ti sei trasferito nel paesino di Antona, nel cuore delle montagne massesi. Cosa ti ha spinto a rimanere in questo territorio complicato, a fare questa scelta?

Al di là degli aspetti bucolici, la praticità è quella di abitare vicino al mio luogo di lavoro. Poi è un posto tranquillo, ho trovato dei pezzetti di terra da coltivare e costruito rapporti con le persone dei paesi.

Mi piace agganciarmi alla mia attività di guida escursionistica e cercare di portare gente a conoscere questo territorio. Magari, vedendo questo nuovo interesse turistico, a qualche paesano verrà in mente di riaprire una bottega o un circolo.

Una piccola dimostrazione che un modello diverso di sviluppo può funzionare anche fra queste montagne di marmo. Forse le rivoluzioni iniziano così.

Diciamo che mi sono sempre espresso sui disagi causati dalle cave in queste zone, ma adesso che in montagna ci vivo forse posso parlarne e agire da una nuova prospettiva.

A proposito di azione, tu gestisci l’Orto Botanico delle Apuane. Cosa ha di particolare e qual è l’obiettivo di questo posto?

È particolare perché rientra nella categoria degli orti botanici montani: nel piccolo è rappresentativo di diversi ambienti e paesaggi delle apuane. Si possono osservare molte specie vegetali come orchidee spontanee ma anche specie endemiche esclusive (ovvero piante che vivono soltanto in Apuane). Inoltre sorge su un dente roccioso molto suggestivo, una montagna in miniatura, dove viene fatta una gestione che mantiene l’aspetto naturale del luogo ma inserendo nuove specie in armonia col paesaggio.

Per chi non è mai stato in Apuane, la visita all’Orto e l’escursione con una delle nostre guide diventa un pretesto per comprendere l’insieme di tutti quei fattori che contribuiscono a rendere queste montagne così uniche dal punto di vista naturalistico. Aiuta a capire il fatto che le Apuane non sono solo marmo, ma sono soprattutto natura e paesaggi da tutelare e valorizzare.