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Cent’anni di parchi

Con il contributo di: Davide Agazzi

Finiti i tormentoni del “cosa fai a capodanno”, ci sono due tipi di persone: quelle che non vedono l’ora di tornare alla propria routine, e quelle che già contano i giorni che mancano alla prossima ricorrenza. E sicuramente è successo così a due “personaggi” un po’ particolari, come il Parco nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco nazionale del Gran Paradiso.

Entrambi i parchi hanno da poco concluso le celebrazioni che si tengono ogni anno per l’anniversario della loro nascita, ma le attenzioni di chi lavora in questo settore, così come di molti appassionati, sono rivolte già da tempo a che cosa succederà in questo 2022, che coincide con il centenario della fondazione dei due parchi.

La novità di quest’anno è che le celebrazioni del centenario saranno un’iniziativa congiunta promossa da entrambi i parchi, che per l’occasione hanno anche elaborato un logo condiviso, in cui compaiono l’orso e lo stambecco, simboli ben noti di queste due realtà, che insieme guardano al futuro.

La tripla cifra, però, non è importante solo per la memoria storica, e rappresenta piuttosto un’occasione per riflettere sul ruolo e sugli obiettivi del sistema dei parchi naturali italiani. Vediamo infatti che in un secolo il raggio di azione delle aree parco si è ampliato notevolmente. È cambiato l’impatto del parco sulle comunità presenti al suo interno e si è modificata la percezione del suo operato da parte dei non addetti ai lavori.

Tutti questi mutamenti si rispecchiano nell’accordo stipulato pochi mesi fa tra i due parchi: oltre alla gestione condivisa delle celebrazioni per il centenario, affiorano molti temi di grande attualità, intorno ai quali i due enti hanno manifestato la volontà di sviluppare azioni congiunte. Si parla ad esempio dell’importanza della comunicazione rivolta ai non addetti ai lavori, di promozione del turismo sostenibile e di sviluppo socio-economico delle comunità.

Il centenario rappresenta quindi un grande traguardo, che però merita di essere analizzato più nel dettaglio, andando a ritroso nel tempo per poter capire quali obiettivi sono stati raggiunti e quali no nel corso degli anni. Per farlo ci siamo serviti del libro Il Parco nazionale del Gran Paradiso, redatto dal presidente Gianni Oberto, che nel 1972 celebrava i primi 50 anni di vita del parco alpino. Viene quindi naturale chiedersi: quali erano le prospettive dell’epoca? Quali le maggiori sfide? Che cosa è cambiato in tutto questo tempo?

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, AEDA, 1972

Fin dall’introduzione, Oberto cerca subito di mettere bene in chiaro le intenzioni (e i bisogni) di quei tempi: “Informare l’opinione pubblica, sì che essa non gridi sprovveduta allo scandalo se si spenderanno, Dio voglia presto, qualche centinaia di milioni in più per il Parco, al fine di tenerlo efficientemente vivo, sacrario alla natura, laboratorio prezioso, motivo di riflessione, luogo sereno di pace, centro di un civile turismo”.

Come si nota fin da subito, le risorse economiche erano (e sono tutt’ora) un punto cruciale per la sopravvivenza del parco, ma non solo. All’epoca più di oggi si poneva la questione della conservazione del patrimonio naturalistico in relazione alla presenza dell’uomo; erano gli anni dove si gettavano le basi del Progetto 80, “il tentativo più ambizioso di immaginare uno scenario di sviluppo territoriale per l’intero paese, in cui sistemi metropolitani e ambientali rappresentano gli assi portanti della riflessione” (Cristina Renzoni, Il Progetto ’80, 2012).

Oggi invece, in totale dissonanza con le ambizioni del tempo, si parla degli 80 milioni tagliati ai parchi nazionali e alle aree marine protette in favore del fondo destinato al contenimento degli aumenti delle bollette energetiche. Un risultato non certamente collegato alle politiche economiche degli anni 70, ma che può essere utile per capire quali siano ancora oggi le difficoltà di queste realtà.

Anche la conservazione della natura era una tematica sentita già nel lontano 1972. L’idea della salvaguardia degli ecosistemi era vista come l’azione conseguente e necessaria agli squilibri che l’uomo stava apportando nelle strutture biologiche delle acque, della terra e dell’aria in maniera permanente.

Valerio Giacomini, professore di botanica all’Università di Roma, scriveva: “Quasi tutti i giornali denunciano gli abusi, i pericoli di uno sperpero di risorse naturali che si sta attuando tuttavia con un ritmo che parrebbe inarrestabile sotto la spinta di interessi privati, personali, settoriali, che ignorano, anzi calpestano gli interessi di tutto il Paese (…)”.


I parchi nazionali dovevano svolgere una funzione non solo nominale, ma rispondere concretamente ai bisogni del territorio.


In questo contesto (con la spinta di augurarsi un futuro migliore) i parchi nazionali dovevano quindi svolgere una funzione non solo nominale, ma rispondere concretamente ai bisogni del territorio. Per farlo, Giacomini sottolineava come la creazione di un parco non doveva essere spinta da interessi puramente economici (e/o su espressa richiesta di enti territoriali), ma “ogni Regione (e qui alludo in particolare a regioni naturali) deve creare dei parchi nazionali in armonia con concrete esigenze locali fisiche, biologiche, umane”.

Negli ultimi anni si è spesso dibattuto circa la nomina di determinate aree a Parco Nazionale: dalle isole siciliane (Egadi ed Eolie) alla Costa Teatina in Abruzzo, passando per Portofino in Liguria al parco del Matese, tra Molise e Campania. La mancanza però di una governance unitaria e le incomprensioni politiche hanno sempre ostacolato la nascita di queste realtà.

Una problematica che cinquant’anni fa veniva già analizzata da Giacomini, il quale provava a dettare alcune linee guida, nella divisione tra interessi economici e scientifici-naturalistici: “Un parco nazionale non è solo il luogo di conservazione scientifica naturalistica, ma soprattutto e più estesamente, e in modo più impegnativo, luogo di una conservazione scientifica di equilibri completi, di coesistenza armonizzata di tutte le componenti vive del territorio in un efficiente ambiente fisico”.

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, AEDA, 1972


Per trovare un equilibrio tra questi interessi si parlava di collaborazione tra enti nazionali ed europei, cercando soluzioni nel lungo periodo che potessero essere soddisfacenti per tutte le parti coinvolte. Da questo punto di vista, nonostante siano stati fatti molti passi in avanti (addirittura 20 dei 25 parchi nazionali sono stati fondati dagli anni 80 in poi), la collaborazione tra enti nazionali e regionali dovrebbe sicuramente trovare una nuova direzione.

Non a caso un intero capitolo di questo singolare volume del 1972 è dedicato ai problemi giuridici, all’organizzazione amministrativa e alle competenze dell’ente parco. In particolare, veniva evidenziato come la situazione giuridica fosse “poco chiara e insoddisfacente”, evidenziando alcune lacune in materia di sovvenzioni, difficoltà dell’Ente nell’affrontare gli abusi edilizi e la mancanza di strumenti per attenuare con indennizzi il danno subito di alcuni cittadini. Problematiche che sono state affrontate nel corso del tempo, ma che ancora oggi non trovano sempre risposte certe.

In conclusione, seppur possa sembrare oltraggioso mettere a confronto un volume dell’altro secolo con la celebrazione del centenario dei più antichi parchi nazionali italiani, si vuole in realtà evidenziare l’importante lavoro svolto fino ad oggi, ma senza pensare che questo compleanno possa accantonare alcune problematiche storiche.

Nel 1972 come nel 2022 è forte l’idea che i parchi nazionali possano e debbano essere un patrimonio da salvaguardare e da sfruttare, nell’accezione meno invasiva del termine; con 50 candeline in più sulla torta e in un mondo dove la natura reclama sempre più spazio, confidiamo che questo avvenimento possa rappresentare un nuovo punto di partenza per conservare il patrimonio di tutti e tutte.

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